Tito Marrone e il teatro greco

di Maurizio Vento
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Tito marrone e il teatro - a cura di Maurizio Vento - cliccare sul libro per richiederlo all'editoreIl primo ad avere avuto l’idea di reintrodurre dopo duemila anni sulle scene nazionali le tragedie del teatro greco, in versione poetica italiana, è stato Tito Marrone (Trapani 1882-Roma 1967) che all’inizio del XX secolo in collaborazione con Antonio Cippico (Zara 1877-Roma 1935) fu autore della versione lirica dell’Orestiade di Eschilo, facendola rappresentare nell’aprile del 1906 all’«Argentina» di Roma dalla Compagnia Drammatica diretta da Edoardo Boutet, con prestigiosi attori quali Ferruccio Garavaglia, Giacinta Pezzana, Evelina Paoli, Vittorio Pieri. Poi, sull’onda del conquistato e crescente consenso, Marrone ne curò le repliche all’«Olimpico» di Vicenza, a Trieste, a Mantova, a Verona, a Bologna e in altri centri della penisola.
Antonio Cippico, letterato fra i più colti ed apprezzati, era direttore della Rivista di Roma e collaborava con alcune delle testate più note dell’epoca: Marzocco, Tribuna, Nuova Antologia, Die Zeit, Saturday Review. Tra le sue opere si ricordano: Trenodia in morte di Giuseppe Verdi, Aspettando l’Aurora (liriche), I Canti della Montagna, Demetra (tragedia) e le pregevoli traduzioni della Gaia Scienza e dell’Anticristo di Federico Nietzsche. Il suo incontro con Marrone contribuì a dischiudere al poeta crepuscolare trapanese le porte della popolarità.
In una lettera da Roma del 17 ottobre 1949 indirizzata all’amico letterato palermitano Federico De Maria, contenuta nell’epistolario edito dall’ISSPE (2003) e curato da Salvatore Mugno, Tito Marrone così scriveva: «Senza il mio (e del mio collaboratore di allora) audacissimo gesto di tradurre l’Oresteia in versi e di offrirla, primo esperimento italiano (che ebbe risonanza mondiale), alle platee d’Italia, il Romagnoli, vari anni dopo - a trionfo da me assicurato - non avrebbe ripreso l’opera di traduzione e il teatro greco di Siracusa dormirebbe sempre il suo nobile sonno tra la sinfonia dei grilli campestri e delle ranocchie melmose». Analogo concetto venne ripreso in una lettera romana del 25 settembre 1950 (1950 e non 1958) al letterato trapanese Nino Genovese, inclusa nell’epistolario curato da Maurizio Vento nel volume Tito Marrone e il teatro, edito dall’ESI (2004) (per richiedere il libro: editsicinf@tiscalinet.it). In essa il poeta trapanese affermava: «La mia educazione letteraria si è formata sui Latini e, più, sui Greci: primo in Italia, con un collaboratore mio amico, insigne poliglotta ora scomparso, io, giovanissimo, diedi con la traduzione dell’Orestiade il segnale della ripresa del teatro greco tra noi, e poi vennero Ettore Romagnoli... e gli altri».
Teatro greco di SiracusaFederico De Maria e Nino Genovese, assieme a Nicola Lamia, furono i tre scrittori siciliani con cui Marrone, per via epistolare, restò legato per tutta la vita. De Maria, come scrive S. Mugno nell’opera prima citata, «era un poeta, romanziere, drammaturgo e saggista, assai attivo e intraprendente nella Sicilia d’inizio ’900: una figura di intellettuale forse oscillante, sotto taluni aspetti, tra un’era al tramonto e un’epoca di forti e radicali mutamenti, ma certamente di notevole esemplarità - sia pure tra cadute e slanci - sul piano della presenza culturale e della creatività artistica nella nostra isola tra Ottocento e Novecento. Su La Fronda, un periodico da lui fondato e diretto, nel 1905 pubblicò un “manifesto” in cui sono evidenti gli elementi di anticipazione del futurismo marinettiano».
De Maria tenne una conferenza ad Erice di cui dà diffusamente notizia Il Popolo di Trapani nell’edizione del 31 agosto 1935. Il tema, La Città di Afrodite, raccolse un vasto e selezionato uditorio che tributò all’oratore calorosi applausi. «Il nostro poeta - commenta il cronista - appartiene ormai alla fitta schiera dei fedeli ammiratori di questa meravigliosa vetta ericina, raccolta nel divino silenzio aereo, fra panorami inimitabili e l’eco molteplice di tutte le leggende e di tutta la grande storia dei popoli mediterranei. La sua conferenza - egli stesso lo dichiara - non è nuova. È un’antica lode, più che decennale, che egli è andato ripetendo di città in città, attraverso tutta la terra d’Italia ed anche fuori, come ardente pellegrino che rechi dovunque l’annunzio di una divina immagine che lo sorprese e lo esaltò, un dono di bellezza che può essere offerto a chiunque ed è stato a lungo ingiustamente dimenticato e quasi ignorato». De Maria godeva di meritato credito, grazie soprattutto alla passione che egli nutriva quale convinto e infaticabile operatore e promotore culturale.
Dicevamo di Ettore Romagnoli (Roma 1871-1938), il maggiore ellenista del secolo scorso, che prese spunto proprio dall’idea di Marrone e Cippico di riesumare il dramma antico. Ma Romagnoli fece di più, portandolo sulle scene dei teatri greci e romani della Magna Grecia e della Sicilia, e cominciò appunto da Siracusa, dove nel 1913 era stato creato un Comitato di cui furono chiamate a far parte le più spiccate personalità della politica, dell’arte, della letteratura e delle professioni. L’attuazione dell’impresa fu affidata proprio al Romagnoli, che nel 1914 diede luogo sulla scia del Marrone e del Cippico alla rappresentazione dell’Agamennone, la prima tragedia della trilogia eschiliana che appunto, con la denominazione complessiva di Orestiade, comprende anche le Coefore e le Eumenidi. Di tale opera Romagnoli curò, a sua volta, la traduzione e le musiche.
Molteplici, come abbiamo visto, sono gli aspetti e gli interessi che caratterizzarono l’attività creativa di Tito Marrone, che fu anche il precursore del crepuscolarismo, anticipando Corazzini e Gozzano. Alla sua memoria la Provincia Regionale di Trapani ha di recente intitolato il locale Teatro, quale doveroso pur se tardivo omaggio alla memoria di un grande conterraneo le cui opere, in larga misura ancora inedite, meritano di essere raccolte in un corpus ed opportunamente divulgate. Una cospicua fatica della quale la Provincia Regionale dovrà farsi carico, come auspicato nello stesso verbale conclusivo della Commissione che ha proceduto all’intitolazione del teatro. Solo così infatti sarà reso davvero il giusto riconoscimento all’illustre concittadino che i Trapanesi impareranno meglio a conoscere dalla lettura diretta dei suoi scritti, editi (ma ormai introvabili sul mercato librario) ed inediti (custoditi con amorevole cura nella casa romana del Poeta da Silvana Bortolin, docente di ruolo nella Facoltà dl Lettere della “Sapienza” ed erede spirituale del Marrone).
È questo un compito, non certo secondario e marginale ma al contrario primario e rilevante, che i Trapanesi affidano con fiducia alla sensibilità civica e culturale della nuova Amministrazione della Provincia Regionale di Trapani.




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