La pittura vascolare greca

di Michele Gagliani

I vasi prodotti nell'antica Grecia mostrano una grande varietà di forme per meglio adeguarsi alle esigenze della vita quotidiana e dei riti religiosi: ad esempio, il cratere - ampio vaso dalla larga imboccatura - serviva per miscelare acqua e vino, l'orcio era usato per trasportare liquidi, l'oinochoe era una brocca per versare il vino, il lekytos un vaso allungato per usi funerari. Le principali forme dei vasi greci derivano dalle figure geometriche semplici, come triangolo, quadrato e cerchio, che in base alla filosofia greca erano le forme che simboleggiavano la perfezione. Queste norme estetiche, cui i produttori dei vasi dovevano attenersi, sono quindi di matrice culturale: la forma dell'aryballos, contenitore panciuto per unguenti e profumi, è ad esempio riconducibile al cerchio, mentre quella del calice al triangolo.
La terracotta era modellata dai ceramisti greci con grande abilità, spesso in collaborazione con i pittori che ne decoravano la superficie, come testimonia la doppia firma del ceramista e del decoratore spesso apposta su questi manufatti. La pittura vascolare greca si suddivide in due categorie sulla base della tecnica pittorica utilizzata: la tecnica a figure nere su fondo rosso, più antica, che si sviluppa in Attica a partire dal VII sec. a.C., e quella a figure rosse su fondo nero, che nasce nel 530 a.C. ad Atene. Tra le più importanti opere della pittura vascolare greca ricordiamo: il vaso François a figure nere su fondo rosso, realizzato intorno al 570 a.C. dal ceramista Ergotimos e dal decoratore Clizia e ritrovato a Chiusi, probabilmente in origine di un signore etrusco attratto dalla ceramica attica. Il decoratore si serviva di una punta adatta per segnare il contorno delle figure da realizzare sull'impasto in argilla, quindi le figure venivano riempite utilizzando una vernice nera. Per realizzare i dettagli incideva le figure con una punta sottile, in modo da lasciare scoperta l'argilla del fondo. Nel vaso a figure rosse di Eufronio, prodotto intorno al 520 a.C. e conservato nel Museo archeologico di Arezzo, troviamo invece la decorazione a figure rosse su fondo nero: la scena narrativa si trova nella parte più ampia della superficie del vaso, mentre il resto è decorato con motivi ornamentali. Come prima cosa l'artista realizzava anche qui il contorno delle figure servendosi di una punta di osso o di legno; lasciava al naturale l'interno dei personaggi, mentre lo sfondo veniva dipinto con larghe pennellate di colore nero, che serviva anche per rifinire alcuni particolari sulle figure stesse. Un altro vaso famoso, dipinto con la tecnica delle figure rosse, è quello di Eutimide, che raffigura la partenza del guerriero. Per la prima volta nella pittura vascolare l'artista decoratore di questo vaso tiene conto dell'angolo da cui viene visto l'oggetto rappresentato, raffigurando il piede e lo scudo del giovane guerriero di scorcio, mentre il corpo e le due figure ai suoi lati sono viste ancora di profilo. Queste testimonianze artistiche sono per noi molto importanti poiché costituiscono gli unici esempi pervenutici di pittura greca: purtroppo della pittura vera e propria, descritta dalle fonti storiche come ricca di prospettiva e chiaroscuri, non ci è pervenuto nulla se non qualche copia in mosaico di epoca ellenistica. Le raffigurazioni dei vasi ci danno quindi un'idea di quella che doveva essere la straordinaria pittura andata perduta: in particolare a tal scopo è utile osservare la pittura a figure nere su fondo bianco, utilizzata per decorare opere di uso soprattutto funerario, che si diffonde in Attica a partire dal V sec.a.C. Ricordiamo a tal proposito un lekytos a fondo bianco conservato al Museo nazionale di Atene e databile al 430 a.C.: si notano i volti delle figure in primo piano, carichi di malinconia, e il modo con cui vengono riportati gli scorci e i volumi. Essendo i lekytos destinati ad arricchire il corredo funerario dei defunti, essi si sono conservati meglio degli altri manufatti in ceramica e anche le loro decorazioni si sono mantenute pressoché intatte sino a noi, come possiamo ammirare anche nei numerosi esempi conservati a Palermo nel Museo Archeologico regionale "Antonino Salinas".