I Kuroi siciliani del tardo arcaismo

di Giuseppe Stabile
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Il Giovane di MoziaTra la fine del VI sec. a.C. e l'inizio del V si assiste in Sicilia alla diffusione della scultura di grandi dimensioni. Gli esemplari più antichi provengono dalla parte orientale dell'isola dove erano site le colonie calcidesi che mantennero stretti rapporti con la madrepatria; ciò permise a queste città di acquisire i dettami artistici che in quel momento si diffusero in Grecia.
La tipologia di statua più ricorrente è il kuros che si diffuse dalla Sicilia orientale a quella occidentale. Del resto la circolazione di maestranze itineranti permise, come vedremo, la rapida diffusione di questo modello scultoreo.
L'esemplare più antico di kuros proviene da Leontinoi; la statua in questione venne rinvenuta fuori dei limiti della città antica e aveva probabilmente una funzione funeraria (questo dato è di grande interesse: infatti, mentre in Grecia le statue avevano tutte una destinazione pubblica e soprattutto ufficiale, in Sicilia alcune, come questi kuroi, ebbero un utilizzo privato e sepolcrale. Ciò permette di capire come la cultura delle colonie greche dell'isola divergesse da quella della madrepatria. Invero, benché ne acquisisse le iconografie, le rileggeva secondo le tendenze culturali locali mescolando elementi greci ad altri di tipo indigeno e sviluppando così una sensibilità eclettica. La figura è stante sulla gamba destra mentre la sinistra è leggermente avanzata; la statua è acefala e priva delle braccia che s'interrompono poco sotto l'attaccatura. Il trattamento delle superfici anatomiche è reso in maniera chiaroscurale dando dinamicità alle masse muscolari. I modelli d'ispirazione sembrano essere quelli della Ionia d'Asia. Molto simile all'esemplare proveniente da Leontinoi è il kuros di Grammichele; anche questa statua, come la precedente, è stante sulla gamba destra mentre la sinistra è avanzata; il trattamento raffinato delle superfici si contrappone al rendimento delle masse muscolari piene e voluminose. La resa del nudo è morbida come se si trattasse di un'anatomia femminile. Al medesimo gruppo appartengono un torso di kuros dalla necropoli di Megara Hyblaea e una statua maschile panneggiata da Siracusa. Quest'ultima, martellata nella parte anteriore, è rotta in due parti e costituisce un unicum tra gli esemplari di kuroi sicelioti: è l'unica a portare il mantello. La clamide (corto mantello maschile) è posta sulla spalla sinistra, gira sul dorso e si poggia sul fianco destro accentuandone il contorno. Il panneggio reso in maniera leggera e aderente ricorda quello di alcune korai coeve. Anche questa statua ricalca i modelli ionici e si avvicina, e per il trattamento delle superfici e per la disposizioni delle masse muscolari, ai precedenti di Leontinoi e Grammichele, ripetendone la disposizione dell'addome e la stilizzazione delle linee inguinali.
I kuroi sicelioti del tardo arcaismo s'inseriscono perfettamente nella serie di quelli greci; resta da stabilire se si tratta di opere importate dall'Ellade o di opere eseguite in Sicilia. A favore della tesi dell'importazione sta il materiale che proviene dalla madrepatria; tuttavia non si può escludere che il marmo fosse introdotto dalla Grecia grezzo e successivamente lavorato da artisti locali. Ad ogni modo l'unità e la coerenza stilistica di questo gruppo di kuroi suggerisce se non un unico artista almeno un'officina che venne fortemente influenzata dalla scuola ionica.
Di poco più tardi sono altri due kuroi, uno di Siracusa e l'efebo di Agrigento; quest'ultimo, provvisto di testa, ha dimensioni circa a due terzi del vero ed è realizzato in marmo a grossa grana cristallina proveniente dalla Ionia. La testa è di tipo severo e presenta un'acconciatura a grosse ciocche che coronano la fronte, spesse palpebre e la bocca imbronciata. La statua è stante sulla gamba destra, ha la sinistra avanzata e le braccia, leggermente sollevate, discoste dai fianchi. Le superfici sono modellate in maniera plastica a grandi piani; i punti di convergenza muscolare sono resi in maniera morbida e misurata.
Di poco più tardo è l'efebo di Selinunte. La statuetta, di fattura locale, poggia sulla gamba sinistra, mentre la destra è avanzata e leggermente flessa; la mano destra è aperta (forse reggeva una patera) mentre quella sinistra è chiusa a pugno. Il bronzetto in questione s'inquadra, a buon diritto, nella serie dei kuroi sicelioti; tuttavia se ne discosta per talune peculiarità: la figura manca di organicità sia nella composizione strutturale sia nella resa del modellato. L'acconciatura, che richiama quella dell'efebo di Agrigento, si dispone disorganicamente sulla fronte, creando così un effetto dispersivo nella resa dei tratti del volto; il raccordo tra spalle e collo risulta slegato a causa dell'eccessiva lunghezza di quest'ultimo. L'efebo di Selinunte, quindi, appare un'opera provinciale fatta da un'artista che conosceva lo schema dei kuroi e tuttavia non possedeva né il gusto né la sensibilità da cui erano nati i modelli precedenti; quindi il realismo che numerosi studi avevano individuato in questa scultura altro non è che l'incompetenza della maestranza nella resa formale. La statua era fusa a freddo e rappezzata.
Nel gruppo dei kuroi si annovera il bronzetto di Adrano. Si tratta della riduzione di una statua votiva di tipo atletico stante sulla gamba destra e con la sinistra posta in avanti; nella mano destra reggeva una phiale verso cui volgeva lo sguardo. Le braccia, discoste dal corpo, sono portate in avanti dando così alla statuetta un movimento contenuto. Il nudo, costruito a grandi piani, è realizzato con masse muscolari contrapposte in un equilibrio dinamico che dà movimento alle superfici anatomiche. La testa massiccia, con un'acconciatura a calotta, è rivolta a destra e leggermente chinata verso il basso; questo espediente fa sì che la statua esca dalla struttura bidimensionale.
Grande un po' più del vero è il Giovane di Mozia; l'opera datata al secondo quarto del V sec. a.C. è stante sulla gamba sinistra mentre la destra, a riposo, è leggermente flessa. Questa postura richiama quella dell'efebo agrigentino. Il corpo è velato da un lungo e ampio chitone senza cintura che è stretto nella parte superiore da una larga fascia di cuoio. Il giovane appoggia la mano sinistra al fianco mentre porta la destra in alto; le braccia sono entrambe rotte sotto l'attacco. La testa, rivolta di tre quarti, ha un'acconciatura fatta da tre file di riccioli sulla fronte come un diadema e gira sulla nuca. Sulla parte sommitale della calotta erano scalpellati cinque perni: ciò rivela che la parte superiore della testa doveva ospitare un copricapo o piuttosto una corona; si tratta infatti di una statua atletica. La veste, che scende libera fino ai piedi, poggia sulle diverse parti del corpo coprendole e nello stesso tempo mettendole in evidenza. La superficie della veste è articolata da una serie di piegoline, creando così un gioco di luci e ombre che dà maggior dinamismo ai piani compositivi della scultura. Il giovinetto di Mozia suggerisce analogie con i modelli greco-orientali anche se il trattamento della veste richiama quello delle pinakes locresi e delle metope del tempio E di Selinunte.
Su quest'ultima statua vi sono degli interrogativi,ovvero: chi ha creato la statua? E soprattutto per chi? Alcuni studiosi hanno sostenuto che si potesse trattare di un'opera commissionata da un fenicio; tuttavia quest'ipotesi non regge; è più plausibile, infatti, che quest'opera fosse stata portata a Mozia come bottino di guerra. Del resto non dobbiamo dimenticare che nel 409 a.C. i Fenici distrussero Selinunte e quindi non può essere esclusa una provenienza dalla colonia megarese. L'ipotesi di una committenza privata, inoltre, è totalmente da escludere giacché la statua è più grande del vero: si tratta, quindi, di una statua rappresentante una divinità. Sicura è, in ogni caso, la fattura greca.
Questa breve digressione sulla tipologia del kuros di epoca tardo-arcaica in Sicilia ci dà l'idea di quanto grande, intensa e articolata sia stata la produzione artistica siceliota.



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