Il ruolo degli Elimi nella Sicilia antica

di Fabrizio Di Natale
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Pianta di Segesta con itinerario turistico
Con Erice ed Entella, Segesta fu una delle più importanti città abitate dagli Elimi, un popolo dalle origini ancora non accertate: Ellanico li reputa Italici giunti in Sicilia dal continente verso il 1270 a.C.; Tucidide, invece, narra che alcuni Troiani, fuggiti dall’Asia Minore quando Ilio fu incendiata, giunsero per mare in Sicilia e con i Sicani che, secondo lo storico Timeo, sono stati i primi abitatori del posto, furono appellati Elimi e fondarono le città di Erice e Segesta. In seguito, un gruppo di Focesi, approdato sulle coste siciliane, mentre fuggiva da Troia, si unì ad essi. Secondo Pausania, si trattava di Frigi e tutti quanti i loro miti ne confermavano l’origine troiana, mentre alcuni culti, tra cui quello di Afrodite e del cane, hanno fatto supporre un’origine orientale.
Tra tutte, l’ipotesi più attendibile è certamente quella tucididea, che viene largamente condivisa pure da altri autori, tra cui Dionigi di Alicarnasso, che attribuisce la fondazione di Segesta ad Aceste-Egesto, anch’egli esule da Troia.
Pure Virgilio parla della fondazione di questa città nel V libro dell’Eneide, dove descrive l’incendio delle navi troiane, durante lo svolgimento dei ludi funebri in onore di Anchise, padre di Enea, e del responso di Naute all’eroe giunto in Sicilia dopo l’incendio di Troia. Il poeta scrive, infatti, che il vecchio profeta ordinò ad Enea di proseguire il suo viaggio, lasciando nell’isola i più anziani e stanchi delle lunghe peregrinazioni e permettendo che creassero una città, che poi sarebbe stata chiamata “Acesta” dal re Aceste, suo fondatore.
Segesta: il cane elimo su un mattoneMa altri autori ne attribuiscono l’origine ad Enea, soprattutto Cicerone. In realtà, è probabile che Enea sia stato il primo a progettare la costruzione di questo e di altri centri elimi che, solo in un secondo tempo, furono portati a compimento da Aceste e dal suo compagno Elimo, da cui quel popolo derivò il proprio nome. Pertanto, la fondazione di Segesta spetta tanto ad Enea quanto ad Aceste. Essa fu edificata su un isolato altopiano, oggi denominato “Barbaro”, nei pressi del quale scorre il mitico fiume Crimiso. Circa la data della sua fondazione, fa fede la fonte virgiliana, che la colloca nel “settimo anno dalla distruzione di Troia”. Il nome Aigesta è attestato da tutte le fonti storiche e letterarie; quello latino è Segesta. Gli storici antichi parlano della sua costante ostilità verso la vicina colonia greca di Selinunte, desiderosa d’espandere i propri confini ai danni dei Segestani. La prima guerra è attestata, intorno al 580 a.C., da Diodoro Siculo, che parla dell’intervento del discendente di Eracle Pentatlo di Cnido il quale, giunto al promontorio Lilibeo, a guida di un numeroso gruppo di Cnidii e Rodii, di fronte allo scontro imminente tra le due città, reputò opportuno schierarsi dalla parte dei Selinuntini, maggiori di numero. Dopo una durissima battaglia, però, i Segestani risultarono vincitori su Selinunte e lo stesso Pentatlo venne ucciso. Nel 576 a.C., si conclusero i trattati di pace e i vinti furono costretti a cedere le terre conquistate, che tornarono ai vecchi proprietari.
Trascorso circa un secolo di relativa pace, verso il 480 a.C., i Cartaginesi, invocati già in precedenza dai Segestani contro Selinunte senza alcun risultato, prepararono una grande spedizione, sotto il comando di Amilcare, per realizzare il loro progetto più grande: la conquista della Sicilia. Ma tale tentativo ebbe esito negativo: si concluse, infatti, con la famosa battaglia di Imera, in cui i Cartaginesi vennero sconfitti. In conseguenza di ciò, Selinunte ritenne saggio rientrare nell’area greca di Sicilia e, poco dopo, si diede un regime democratico, sostenitore della lotta con Segesta. Ancora una volta, si riaccesero le ostilità e, dopo un ulteriore scontro avvenuto nel 454 a.C. nei pressi del fiume Mazaro, i Selinuntini cominciarono ad impadronirsi illecitamente dei territori di Segesta, ignorando le sue richieste di tregua. Respinta la proposta d’aiuto fatta ai Cartaginesi, nel 416 a.C., i Segestani mandarono degli ambasciatori ad Atene, garantendo ricche ricompense.
Gli Ateniesi dunque, ingannati dai Segestani riguardo alle loro presunte ricchezze, inviarono una flotta sotto la guida di Alcibiade, Nicia e Lamaco. In un primo tempo, gli Ateniesi ottennero discreti successi, ma, intorno al 414 a.C., il loro destino cominciò a precipitare rovinosamente, fino allo scontro finale presso il fiume Assinaro (settembre 413 a.C.), in cui i Siracusani arrecarono loro una grave sconfitta, le cui conseguenze furono assai dannose per Atene. Anche per Segesta le cose non andarono meglio: la sconfitta le attirò l’odio di tutte le città siciliane e, pertanto, i Segestani furono costretti a lasciare ai Selinuntini i territori per i quali si erano scontrati. Questi ultimi, però, non si accontentarono e cercarono di accaparrarsi più terre di quelle avute e, ancora una volta, Segesta chiese aiuto ai Cartaginesi, che accettarono volentieri con lo scopo di guadagnare posizioni favorevoli alla realizzazione del loro progetto di conquista dell’isola. Fu inviata, pertanto, una spedizione sotto il comando di Annibale, nipote di Amilcare; ma, a tale notizia, i Selinuntini continuarono le loro scorrerie nelle terre dei Segestani, i quali li assalirono di sorpresa, massacrandoli atrocemente.
Intanto Annibale, approdato al promontorio Lilibeo, raccolse un numerosissimo esercito e cominciò la marcia contro i Selinuntini. Questi, sopraffatti dalla moltitudine, combatterono ugualmente, dando grande prova di coraggio. Vinti, cominciarono a rinunciare al terreno poco a poco, finché, nel 409 a.C., non caddero definitivamente sotto i nemici e la città fu incendiata. I Segestani poterono finalmente assistere alla totale disfatta dei loro eterni rivali.
Ma la spedizione del 409, avvenuta su preciso invito di Segesta, segnò inequivocabilmente l’avvio all’epicrazia cartaginese nella Sicilia occidentale. In questo lasso di tempo di circa un secolo e mezzo (410-241 a.C.), è possibile constatare un totale ingresso di Segesta e degli altri centri elimi nell’area d’influenza cartaginese.
Dopo la conclusione della prima guerra punica, Segesta passò sotto il dominio dei Romani, i quali, ricordando le comuni origini troiane (Enea), la dichiararono, nel 225 a.C., “civitas immunis et libera”, cioè le donarono l’immunità dal tributo (Cicerone, Verr. III 6.13) assieme a vasti territori, tra cui forse anche la città di Erice. L’antico centro elimo visse allora il suo ultimo momento di straordinario splendore. Poco si sa sulla fine di questa importante città della Sicilia occidentale. Secondo le fonti, proprio da Segesta si sarebbe levata la rivolta servile del 104 a.C., guidata da Atenione.
Da studi recenti e scavi condotti sul territorio, risulta che Segesta continuò a esistere anche in questo periodo, a dispetto dell’ipotesi secondo cui ci sarebbe stato un graduale trasferimento dell’abitato verso l’attuale Castellammare. Si conservano, inoltre, notizie sul fatto che la vita di essa si protrasse addirittura fino al principio dell’era cristiana, anche se era ormai priva di ogni importanza e, solo in seguito, le invasioni dei Vandali, dei Bizantini e dei Saraceni la portarono al totale sfacelo.




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