Gela archeologica

di Dorotea Di Mattia
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Museo Archeologico di Gela: testa di MedusaLe mura greche di Gela, rinvenute in contrada Scavone nella zona di Capo Soprano, sono tra le più preziose testimonianze del sodalizio che la natura può attuare con la storia quando s’accorga che l’uomo (che dovrebbe esserne il paladino) la mette in serio pericolo. Ponticelli di sabbia instabili, creati dal vento, hanno infatti custodito in maniera eccellente nel corso dei secoli un tratto delle fortificazioni timoleontee e ce le hanno restituite cinquanta anni addietro.
Secondo la tradizione tucididea, Gela fu fondata nel 689-688 a.C., su consiglio dell’oracolo di Delfo, da coloni di Rodi, guidati da Antifemo, e da coloni di Creta, guidati da Entimo. Essi le diedero inizialmente il nome di Lindioi e successivamente quello del fiume che vi scorreva, Gela. Pare, però, che le origini di della città risalgano all’epoca preistorica. Il suo sito risulta, infatti, già abitato durante l’età del rame (fine III millennio a.C. -inizi del II) e del bronzo antico (2200-1600 a.C.), quando gruppi di agricoltori vi stabilirono la loro dimora, dando vita a piccoli villaggi di capanne (generalmente a pianta circolare), dei quali gli scavi nell’antica acropoli (sita nella zona di Molino a Vento) hanno riportato in luce alcune tracce. Tali agglomerati sono stati coperti, in un primo momento, attorno al VII sec. a.C., da edifici destinati al culto e in seguito, verso il IV sec. a.C., da case e botteghe, di cui possiamo ammirare qualche resto.
Dopo aver fondato la loro colonia di Gela, combattendo contro i Siculi e i Sicani, i Geloi (o Gelensi) estesero la loro occupazione nella zona circostante fino a fondare, nel 580 a.C., Akragas (oggi Agrigento). Agli inizi del V sec. a. C., a Gela fu instaurata la tirannia con Cleandro, cui succedette il fratello Ippocrate, il quale fece di Gela una delle più potenti e fiorenti colonie greche. Naxos, Leontini e Catania caddero presto sotto il suo dominio. A Ippocrate si avvicendò Gelone, il quale però, conquistata Siracusa, vi si trasferì assieme a buona parte della popolazione di Gela e affidò il governo di quest’ultima al fratello Gerone. Nel 466 Gela si liberò dalla tirannia e si diede un governo democratico. Ma, nel 405, venne conquistata dai Cartaginesi che la depredarono dei suoi tesori e ne fecero demolire le mura. Di queste antiche fortificazioni gli archeologi hanno rinvenuto, purtroppo, solo pochi resti. Divenuta, in seguito, possedimento dei Siracusani sotto Dionisio I, Gela fu ripopolata e sotto il tiranno corinzio Timoleonte ne vennero riedificate le mura (338 a.C.). Apparterrebbero proprio alle fortificazioni timoleontee gli imponenti resti che siamo in grado di ammirare nella zona di Capo Soprano.
Pare, infatti, che questo tratto notevole di mura, sepolto nel corso dei secoli da una coltre,via via più alta,di dune mobili, sia sfuggito alla distruzione avvenuta in seguito all’invasione di Agatocle (che terrà Gela sotto il suo dominio fino al 289 a.C.), nonché al successivo diroccamento da parte dei Mamertini (282 a.C.) e ancora all’ennesima demolizione, avvenuta questa volta ad opera del tiranno di Akragas Finzia il quale,oltre a raderne al suolo le mura e i palazzi, ne fece trasferire gli abitanti nella città di Finziade (oggi Licata).
Dopo la prima guerra punica Gela, di cui esisteva ancora un piccolo nucleo, cadde sotto il dominio di Roma prima, dei Bizantini poi e infine vi si stabilirono gli Arabi, i quali la chiamarono “Città delle Colonne” per il gran numero di colonne sparse sul suo territorio.
Il sito di Gela rimase deserto fino al 1230, quando Federico II di Svevia fece ricostruire la città ad ovest della vecchia acropoli e le diede il nome di Terranova che, nel 1862, fu mutato in Terranova di Sicilia. Solo nel 1927 il governo fascista restituì alla città siciliana il glorioso nome di Gela.
Chi volesse fare un tuffo nel passato di questa antica e fiorente colonia siceliota ha a disposizione un consistente tratto della cinta muraria di Capo Soprano, i resti di uno stabilimento termale e dell’acropoli greca ed un ricco museo archeologico. Abbiamo, dunque, testimonianza di mura greche che pare siano quelle che il tiranno Timoleonte fece erigere (la loro prima edificazione risalirebbe al V sec a.c.) al tempo della restaurazione della democrazia e della conseguente ricostruzione della città (338 a.C.), dopo l’ennesima distruzione ad opera dei Punici. Si tratta di una cinta muraria di circa 300 metri di lunghezza, 3 metri di spessore e fino ad 8 metri di altezza, superbamente conservata sotto una spessa coltre di sabbia (alta fino a 12 metri). Oggi, purtroppo, siamo in grado di apprezzare solo questo tratto riemerso in contrada Scavone, ma pare che un tempo questa cinta muraria, innalzata a scopi difensivi, circondasse l’intera collina su cui era adagiata la città.
Le mura di Capo Soprano sono composte di due strati e costruite secondo la cosiddetta “tecnica mista”. Lo strato inferiore, alto circa 3 metri, è costituito di blocchi di calcare abilmente squadrati; quello superiore (aggiunto, pare, in seguito ad un insabbiamento che ricoprì, in parte, il primo strato) da mattoni quadrati d’argilla cruda seccata all’aria. La preziosità di tali mura ha indotto gli archeologi, con discutibile scelta dei materiali utilizzati, a proteggerle con delle lastre di plexiglass, che purtroppo ne danneggiano non poco la magnificenza.
Nella zona archeologica di Capo Soprano, durante la stagione estiva, si tengono fra l’altro varie rappresentazioni di tragedie greche.
All’esterno delle mura è possibile ammirare i resti del quartiere ellenistico e in particolare quelli di un complesso termale, tra i più antichi della penisola italiana (databile attorno alla fine del IV sec. a.C.) e tra i più interessanti per l’impianto di riscaldamento, unico per i tempi, andato distrutto a causa di un incendio alla fine del III sec. a. C.
All'estremità orientale della collina gelese, in località Molino a Vento, c’era l’acropoli greca, dove sorsero, poco dopo la fondazione della colonia, i primi edifici sacri. A testimoniarlo abbiamo i resti di due templi di ordine dorico, eretti in onore della dea Atena, uno databile al VI sec.a.C., l’altro progettato dai Greci in occasione del felice esito della battaglia di Imera (480 a.C.), combattuta contro i Cartaginesi, che minacciavano di occupare la Sicilia orientale. Di quest’ultimo tempio doveva far parte una colonna, oggi custodita all’interno del Parco delle Rimembranze.
Il Museo archeologico di Gela, sito nella zona di Molino a Vento, realizzato negli anni 50, conserva innumerevoli e preziose testimonianze della fiorente colonia greca, nonché del periodo antecedente alla colonizzazione della sua acropoli. Nel museo sono custoditi reperti (la cui esposizione segue un criterio di tipo cronologico e tematico) che, dall’età preistorica, giungono fino a quella medievale. Ceramiche, terrecotte, statue in bronzo e monete, ritrovate nel corso degli innumerevoli scavi effettuati per riportare alla luce quante più tracce possibili dell’antico insediamento, costituiscono il tesoro del museo. Le collezioni di maggior pregio sono quella del barone Giuseppe Navarra e quella della famiglia Nocera, consistenti in un gran numero di vasi databili al VI-V sec a.C., realizzati da ceramografi attici, in pregevole ceramica nera e rossa, giunti nella colonia con navi mercantili (un relitto, risalente al V sec a.c., è stato rinvenuto al largo della costa gelese) al tempo in cui la colonia siceliota intratteneva fitti rapporti commerciali con la Grecia. Pare, purtroppo, che i Gelesi abbiano dimenticato i loro profondi e stretti legami col glorioso passato. Oggi, infatti, l’amenità dei luoghi, che un tempo attirarono i coloni greci, è purtroppo offuscata da un abusivismo edilizio dilagante e dall’industria petrolchimica, che vi ha messo le sue radici negli anni 60, contribuendo al decollo economico della moderna Gela ma compromettendone irresponsabilmente l’ambiente e il territorio.



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