L'acropoli di Gela

di Giuseppe Stabile
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Gela museo archeologicoGela fu la prima colonia rodio-cretese fondata sulle coste della Sicilia sud-occidentale. La sua nascita, riconducibile al 688 a.C., viene ricordata da Tucidide che fa menzione dei due ecisti Antifemo ed Entino, provenienti rispettivamente da Rodi e da Creta. Sempre a detta dello storico ancor prima della fondazione del sito greco, la zona venne abitata da piccoli nuclei di rodii provenienti da Lindos. Notizia che ha trovato riscontro nelle campagne di scavo che hanno messo in luce ceramica protocorinzia di fabbrica rodia sia sull'acropoli, sia nella necropoli di Spina Santa ad est del fiume Gela, sia nell'area degli odierni giardini pubblici, sede dell'antica necropoli arcaica della città.
A parte i dati sopra citati, le fonti storiche in merito alle prime fasi della colonia risultano assai labili; appare chiaro tuttavia che i coloni greci dovettero attuare un processo di ellenizzazione del retroterra. A tal proposito, Pausania narra della distruzione del sito sicano di Omphake per mano di Antifemo; ancora Erodoto ricorda la vicenda di Teline progenitore di Gelone il quale riportò nella città alcuni fuoriusciti appartenenti alla plebe che, allontanatisi a causa di controversie civili, si erano rifugiati nel sito di Maktorion (odierno Monte Bubbonia).
Le cronache di Lindo (Cr. Lind. XXV) ricordano la conquista del sito indigeno di Ariaition, evento celebrato dai coloni con la dedica di un grande cratere nel santuario di Athena Lindia. Queste poche nozioni, seppur di carattere aneddotico, rivelano il processo di ellenizzazione (non sempre pacifico come abbiamo visto) subìto dai centri indigeni circostanti con la creazione di Gela. Tale processo sembra seguisse due direttrici precise: nello specifico il corso fluviale dell'Himera e dell'Alykos (ossia il Salso e il Platani). Questa zona, del resto, era l'unico territorio in cui la colonia poteva operare la propria penetrazione.
Se durante il VII- VI sec. a.C. Gela fu impegnata nella conquista dei territori centro-meridionali per assicurarsi le aree produttive che garantissero lo sviluppo e il sostentamento della città, già alla fine del VI a.C. e ancor più nel V a.C. la colonia volse le sue mire ai settori nord-orientali dell'isola per assicurarsi il controllo dello stretto di Messina. Ciò avvenne anche in corrispondenza dell'avvento della tirannide nella colonia rappresentata dai due reggenti Cleandro (505-499 a.C.) e Ippocrate (499- 491 a.C.), figli di Pantares.
Quegli anni segnarono per Gela l'inizio di un periodo di splendore economico e politico; grazie al progetto di Ippocrate, i Geloi riuscirono a conquistare le città calcidesi di Naxos, Leontinoi, Katane e Zankle, sfuggita al dominio della colonia nel 494 a.C. a causa dell'arrivo di Samii venuti nel centro calcidese ad iniziativa di Anassilao. Sempre grazie alla volontà del tiranno geloo nel 492 a.C. si tentò la conquista di Siracusa fallita a causa dell'apporto di Corfù e Corinto. La stasis tra le due colonie si concluse quello stesso anno con la cessione a Gela della città di Camarina che venne ripopolata da una cleruchia capeggiata da Glauco di Caristo.
Alla morte del tiranno, seguì l'ascesa al potere di Gelone discendente dei Dinomenidi che strinse stretti rapporti con il tiranno di Akragas Terone, del quale sposò la figlia Damarete.
Convinto che l'occupazione di Siracusa fosse importante per ottenere il controllo della fascia orientale della Sicilia, Gelone dapprima conquistò quella città approfittando delle lotte sorte tra due delle classi sociali, e vi trasferì poi la propria residenza ed un gran numero di cittadini provenienti da Camarina, Megara Hyblaia e Gela. Il governo di quest'ultima città venne affidato al fratello Ierone mentre egli continuò la propria attività diventando sempre più potente tant'è che anche gli stessi Greci si rivolsero a lui durante la guerra contro i Persiani. Questa richiesta rimase tuttavia inascoltata, poiché Gelone s'impegnò sul fronte siciliano nella guerra contro i Punici esplosa nella parte occidentale dell'isola e che culminò nella celeberrima battaglia di Himera (480 a.C.). Alla sua morte (478 a.C.) diventò sovrano di Gela Polizzelo mentre Ierone si spostò a Siracusa.
Dopo la tirannide sappiamo che Gela dovette affrontare i centri indigeni di Omphake e Kakyrion, dove si erano rifugiati dei mercenari espulsi dalla città (464 a.C.) e poi ancora Krastos distrutta tra il 463 e il 462 a.C. grazie all'apporto degli Himeresi. Nel 427 a.C. la città si alleò con Himera, Selinunte e Siracusa, impegnata quest'ultima nella guerra contro la calcidese Leontinoi e nel 424 a.C. Gela ospitò gli ambasciatori delle città siceliote che parteciparono al congresso per la pace.
Gli ultimi anni del V sec. a.C. sono difficili per la colonia rodio-cretese che viene distrutta nel 405 dai Cartaginesi guidati da Imilcone. Diodoro narra ampiamente la fine della città abbandonata quasi del tutto dai suoi cittadini che frattanto si erano rifugiati a Leontini e incapace per lungo tempo di risorgere a nuova vita; tuttavia, seppur ridotta a città tributaria di Cartagine, pare che Gela abbia partecipato con Dionigi alla spedizione contro Mozia nel 397 a.C. Solo a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C. la città ricominciò a popolarsi grazie all'opera di Timoleonte.
Proprio in coincidenza a questa rinascita la città conobbe una ulteriore primavera con la creazione di nuovi quartieri e di diversi complessi monumentali soprattutto nella zona del Capo Soprano.
Alla morte di Timoleonte il centro fu teatro di nuovi scontri bellici: nel 317 a.C. Agatocle, sovrano siracusano, l'assedia espugnandola nel 311 a.C. L'aiuto apportatole da Xenodico nel 309 a.C. permise a Gela di godere di un breve periodo di libertà, conclusosi nel 305 a.C. con la nuova conquista da parte di Agatocle.
La fine definitiva della città avvenne nel 282 a.C. quando i Mamertini fecero il loro ingresso e con Finzia, tiranno agrigentino, la distrussero. La popolazione venne deportata a Finziade (odierna Licata).
Dopo questa digressione sui principali eventi che segnarono la colonia rodio-cretese in epoca antica passiamo ora alla trattazione dell'acropoli.
Il sito in questione sorge sull'estremità orientale della collina su cui si è impiantata la città moderna, in località Molino a Vento a 45 m sul livello del mare e ai margini ad est dal fiume Gela.
Già dall'età del rame l'area in questione venne occupata da un insediamento capannicolo, col quale sono da mettere in relazione sia le tombe trovate sul piano Notaro, sia le quattro deposizioni a pozzetto rinvenute sul versante occidentale di Molino a Vento.
Durante la fase del Bronzo antico (2200-1450 a.C.) la zona fu sede di un abitato di capanne circolari, alcune delle quali sono emerse negli strati inferiori degli edifici arcaici. Da allora l'altura, ove poi sorse l'acropoli geloa, fu abbandonata almeno fino alla fine dell’ VIII sec. a.C., momento in cui arrivarono piccoli nuclei di gente rodia che occuparono il sito di Molino a Vento, dato confermato dal rinvenimento di ceramica appartenente al Protocorinzio geometrico.
Solo nel VII sec. a.C. l'area ricevette la prima organizzazione in senso greco; risale a questo periodo la costruzione dei primi edifici adibiti al culto. Si tratta di templi ad oikos ubicati a nord del pianoro con orientamento E-O.
Appartiene a tale fase l'edificio I (9,50 x 4,50 m): il sacello era dotato di pianta rettangolare mentre lo spazio interno era tripartito, i muri erano realizzati in pietrame e l'ingresso si apriva a sud. Seguiva in ordine l'edificio II, sull'estremità orientale dell'acropoli, di cui si conserva solo un vano con ingresso ad est. Dai pochi dati rimasti in situ si può ipotizzare che questo, così come il tempio precedente, fosse dotato di spazio interno diviso in tre settori.
A sud-ovest del pianoro, sotto le fondazioni del tempio denominato convenzionalmente con la lettera B, venne rintracciata da P. Orsi una precedente struttura che lo studioso denominò tempio A. Si tratta di un sacello ad oikos con ingresso sito ad est, i muri erano realizzati in blocchi e pietrame ed era dedicato ad Athena così come il successivo edificio. Questa identificazione è stata confermata dal rinvenimento di un orlo di pithos e di due stipe votive: una con materiale molto antico databile tra il VII e il VI sec. a.C. ricca di elementi architettonici e di terrecotte tra le quali spicca una civetta, animale sacro alla dea, l'altra ha restituito diverse armi tra cui punte di lance e pugnali.
Nel corso del VI sec a.C. l'acropoli si dotò d'impianto viario di tipo ortogonale e, in coincidenza a ciò, si ebbe anche la nascita di nuovi edifici sacri posti nel settore settentrionale, tutti dotati di pianta longitudinale E-O, e la creazione del tempio B sorto sulle vestigia del precedente tempio. Tra i monumenti del periodo si segnalano quelli convenzionalmente detti 1, 2, 3, 4 e G, trovati da P. Orlandini sotto il quartiere di epoca timoleontea e mal conservati nelle strutture perimetrali. Altri sacelli, rispettivamente il III, IV, V, VI, VII, VIII e IX, sono stati trovati in tempi recenti e anche questi come i precedenti si conservano solo nelle loro strutture di fondazione. Il più semplice da un punto di vista planimetrico è il V con pianta rettangolare (11,20 x 4,40 m) ed ingresso sul lato sud che ha restituito molto materiale votivo. L'edificio VI, ubicato tra la plateia principale e lo stenopos, era a pianta rettangolare grande 16 x 7,69 m, con adyton collocato ad occidente e dotato di ingresso ad est; a copertura era un tetto a doppio spiovente sormontato da kalupter heghemon (coppo di colmo) e con antefissa gorgonica. Tra gli edifici del VI sec. a.C. si segnala inoltre l'edificio VII sito sullo stenopos VI; si tratta con ogni probabilità di una Leschè.
Continuando la trattazione degli edifici sorti in questo periodo sull'acropoli geloa, si fa menzione del sacello VIII sorto sull'area orientale di poggio Molino a Vento con pianta a megaron (15x 5,70 m) dotato di ingresso a est, adyton sul fondo e fila centrale di pilastri, e dell'Athenaion, tempio periptero dorico ( 35,22 x 17,25 m) con sei colonne sui lati corti e dodici su quelli lunghi; il monumento aveva orientamento E-O. La sua cella, dotata di pronaos in antis, era coperta da capriate lignee. La decorazione architettonica era costituita da due frontoni fittili con sima e gheison ornati da doppia treccia, rosette e foglie poste su tre registri paralleli; al centro del frontone era una grossa maschera gorgonica. Sulla sommità del tetto, che era a doppio spiovente, erano collocati degli acroteri fittili di figure equestri mentre agli angoli erano dei leoni alati o altri animali (sfingi?). Il tempio dedicato ad Athena Lindia fu scoperto da Orsi agli inizi del 900.
Il V secolo a.C. è segnato dalla attività dei Dinomenidi a Gela, con il cui avvento l'acropoli venne dotata di un nuovo impianto urbanistico e di nuovi templi tra i quali spicca l'edificio sacro denominato C con pianta periptera (51 x 21,70 m), sei colonne sui lati brevi e 12 sui lunghi. La copertura del tetto sembra fosse realizzata con tegole marmoree ma del tempio non resta pressoché più nulla fatta eccezione per la colonna appartenente all'opistodomo rialzata da P. Orsi; l'edificio del resto subì una violenta distruzione alla fine del V sec. a.C. con l'entrata dei Cartaginesi. In quel periodo venne ricostruito anche il sacello VIII rimaneggiato rispettivamente sui muri Nord e Sud.
Successivamente all'incursione punica alcuni dei templi collocati sull'acropoli continuarono la loro attività. Un esempio in tal senso è costituito dall'edificio XII sullo stenopos III; si tratta di un sacello a pianta bipartita che ha restituito numerose statuette di Demetra e Athena.
Con l'avvento di Timoleonte (339-337 a.C.) si costruirono sull'altura nuovi edifici impostati su uno spesso strato terroso che sigillò i precedenti e i complessi monumentali andati persi durante la distruzione. In quel periodo vennero soppressi alcuni stenopoi, mentre il III venne continuato fino ad obliterare il basamento del tempio B.
I nuovi edifici si disposero in maniera disordinata ed affollata sulle strade ed ebbero perlopiù destinazione civile o artigianale; la zona monumentale della città venne spostata invece a Capo Soprano.
Le abitazioni collocate sull'acropoli invasero l'area settentrionale un tempo destinata ai grandi santuari. Tra gli edifici di IV a.C. segnalo l'edificio XIV (probabilmente una fattoria), una bottega di scalpellini ubicata a S-E dell'edificio VIII e inoltre gli edifici 12, 21 ed A, nel quale si rinvennero molti pesi di telaio.
Certo è che il sito di Molino a Vento venne definitivamente abbandonato a seguito della conquista agatoclea e degli avvenimenti del 311-310 a.C.
Con l'incursione di Finzia, Gela cessò la propria esistenza; bisognerà attendere il 1233, perché la collina torni ad essere popolata; a questa data risale infatti la fondazione di Eracleia ad opera di Federico II che impostò il castello sulle antiche vestigia greche.



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