Archeologia: quale futuro?

di Vincenzo Tusa
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Vincenzo Tusa e B.J. IsserlinNell’ormai lontano 1968, dando il “via” alla rivista Sicilia Archeologica, tuttora presente nella nostra Regione e nel vasto mondo degli archeologi, così scrivevo: “Noi riteniamo che l’archeologia costituisca una fonte primaria di conoscenze, e quindi di cultura: essa riguarda l’Uomo in tutte le sue manifestazioni e quindi, come tale, rappresenta un mezzo insostituibile per la conoscenza di chi ci ha preceduto, cioè di noi stessi”.
Sono sempre più convinto della validità di queste mie parole, confortato anche dal fatto che sempre più si va notando che letterati e storici dell’arte, etnologi e antropologi, filosofi, mitologi, storici delle religioni e semplici uomini di varia cultura considerano oggi l’Archeologia una fonte primaria di conoscenza e quindi di cultura, se per “cultura” intendiamo, come è stato felicemente detto, “intelligenza del presente, sorretta dalla conoscenza del passato” (R. Bianchi Bandinelli).
Per questo noi giudichiamo gli studi di Archeologia tra i più fecondi e interessanti nel campo delle scienze morali, studi che avranno ragion d’essere finché giustificabile sarà lo studio della storia civile. Ma tale giustificazione non basta per legittimare completamente gli studi di Archeologia; essa semmai è sufficiente nell’ambito degli studi stessi. Oggi, nella società in cui viviamo, in mezzo ad una Umanità che soffre, spesso per la mancanza di elementi indispensabili alla vita, occorre una giustificazione più ampia. Non è lecito, io penso, ad un gruppo di studiosi rinchiudersi nella turris eburnea dei loro studi, estraniandosi dalla società in cui vivono. La cultura infatti solo allora può essere viva e vitale quando è sentita da un numero sempre maggiore di individui, quando da costoro è quasi richiesta e ritenuta necessaria per la formazione della propria personalità, quando questa cultura, questa nostra cultura che deve essere profondamente storica, può essere di guida ad una cerchia sempre più vasta di individui. “Non dimentichiamolo - dice a questo proposito R. Bianchi Bandinelli -, noi che abbiamo il privilegio di svolgere il nostro lavoro nel campo dell’intelletto, che il nostro lavoro è possibile in quanto che, nelle officine, nei campi, nelle miniere, esistono milioni di uomini che lavorano e che producono quella ricchezza sociale che permette a noi di avere i nostri libri, i nostri istituti, i nostri apparecchi sperimentali”.
Scavo archeologico: una ragazza al lavoroA questo punto, chiediamoci come si fa e come si deve fare perché questa nostra cultura raggiunga una cerchia sempre più vasta di individui: prima però ritengo opportuno definire, nei suoi vari aspetti, l’iter archeologico, e intanto lo scavo. Prima di intraprendere uno scavo archeologico occorre studiare attentamente la zona dove si intende operare, facendo sopralluoghi e cercando di conoscere, sul piano storico, la zona stessa: e per questo occorrono specialisti. Segue poi la fase dello scavo: gli specialisti, cioè gli archeologi, debbono dirigerlo ed averne la responsabilità scientifica; occorrono poi assistenti, restauratori, fotografi, disegnatori; inoltre servono specialisti di altre discipline, se si tratta di scavi monumentali, paleobotanici ecc.
Identificato, pulito, restaurato il materiale portato alla luce, occorre inventariarlo, schedarlo e, infine, studiarlo e pubblicarlo. Ognuno può facilmente immaginare quante possibilità di impiego si presentano in queste varie fasi del lavoro archeologico. Aggiungo che ritengo pregiudiziale e condicio sine qua non che, anzitutto, il bene archeologico venga salvaguardato e tutelato nel migliore dei modi. Se infatti, come qualche volta accade, si distrugge o si compromette un bene che si vuole mettere a disposizione della comunità per una pseudo fruizione turistica, allora questo bene, per parlare proprio in termini strettamente economici, non potrà più produrre quei benefici che si vuole invece che continui a produrre.
Se adeguatamente presentati, i beni archeologici possono elevare il livello culturale delle nostre popolazioni e, nello stesso tempo, essere fonte di un turismo sano e culturalmente valido. Però, perché questo fine si raggiunga, è necessario che ci siano persone adeguatamente preparate non solo in Archeologia ma anche in public relations.
Al turismo accenno appena, non sono uno specialista al riguardo; so solo, e ne sono convintissimo, che i nostri beni archeologici, assieme ad altri monumenti del nostro passato, possono e debbono costituire una fonte primaria per la nostra economia che ha, come componente importante, il turismo, come ho sopra accennato; condizione, tuttavia, indispensabile perché questo si ottenga sono la salvaguardia, la tutela e una adeguata presentazione dei monumenti stessi; e, aggiungo, un ambiente pulito, riposante, calmo, tranquillo dove poter vedere, comprendere e apprezzare questi nostri monumenti che, spesso, non hanno pari al mondo.
Riportiamo ora alla nostra Regione quanto qui è stato scritto. La Sicilia, questa straordinaria miniera di testimonianze di un passato in cui sono avvenuti incontri di civiltà, di culture e quindi di Umanità, quali difficilmente riscontriamo in altre parti del mondo antico, costituirebbe il luogo ideale per l’attuazione di quanto qui, sia pure sommariamente, si è esposto; ho usato il verbo al condizionale perché, invece, siamo ben lungi dall’attuazione di quanto sopra si è ricordato, e dubito che questo possa avvenire in un ragionevole lasso di tempo.
La Sicilia, come è noto, ha potestà legislativa primaria in tale campo, si è data quindi una legge al riguardo, la n. 80, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana il 3-8-77, legge che non mi pare abbia ricevuto piena attuazione, pur dopo oltre venti anni dalla sua promulgazione. La carenza si nota soprattutto nella mancata formazione degli specialisti che, nei vari campi, renderebbe attuabile quanto qui si è detto, apportando quindi un beneficio a questa nostra Regione non solo culturale ma anche economico. Si pensi al gran numero di giovani, anche di valore, che si laureano nelle discipline attinenti alla valorizzazione dei Beni Culturali, e particolarmente nei vari campi dell’Archeologia, che non trovano lavoro: ed invece ce ne sarebbe tanto! Per i Beni archeologici non occorrono somme enormi, assai meno che per alcune opere pubbliche alle volte non molto utili.
Mi vien da pensare, spesso, che esistono in Sicilia tre elementi necessari e indispensabili per attuare quel che qui si è prospettato. Questi elementi sono: a) la materia prima, cioè i monumenti; b) l’elemento umano, e ce ne è abbastanza; c) il denaro, che c’è (o c’è stato?) e, come ho detto, non ce ne vuole molto: mi chiedo e chiederei a chi di ragione e potrebbe provvedere (quanto meno gradirei una risposta esauriente) di rispondere al seguente interrogativo: come e perché questi tre elementi non si mettono insieme operando di conseguenza affinché i Beni archeologici presenti nel territorio possano offrire alla Sicilia e al mondo intero quel potenziale di cultura che indubbiamente posseggono ed anche un non trascurabile vantaggio economico?
Volutamente non mi sono occupato di particolari relativi alle zone archeologiche e ad altri argomenti; ovviamente vi si potrebbe fare riferimento o trattarne in altra sede, anche da parte di specialisti.
A mo’ di conclusione desidero soltanto accennare a quello che dovrebbe essere il Parco archeologico di Agrigento, e che dovrebbe o, meglio, avrebbe dovuto salvaguardare la Valle dei Templi: ne scrisse per primo Antonino Salinas nel 1913, ne riprese l’esigenza Biagio Pace nel 1945, ogni tanto se ne parla, anche animatamente in tempi recenti, e spesso anche molto, ma ancora, malgrado tutto, siamo ben lungi dalla sua realizzazione!




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