I colori del passato

di Michele Gagliani

I colori usati nell'antichità erano quasi sempre naturali, essendo ricavati in via diretta ed immediata dal mondo animale, vegetale e minerale. Soltanto eccezionalmente si ricorreva a colori artificiali ottenuti mediante rudimentali trasformazioni chimiche. I colori vegetali si trovano in natura estraendo le sostanze coloranti da alcune parti delle piante. Alcuni colori provengono ad esempio dal querciolo, dalle noci, dallo zafferano e dai noccioli di pesca. Fra i colori vegetali maggiormente usati nell'antichità ricordiamo: l'arzica (giallo, ricavato dall'erba Gualda), il verde vescica (estratto dalle bacche del Pruno nero), la lacca di garanza (rosso, estratto dalle radici della Rubia tinctorum), la lacca di Ramno (estratta dalle bacche del Ramno), il nero di vite (ottenuto bruciando tralci di vite). I colori animali si ottengono dagli organi o dalle ossa degli animali per spremitura, essiccatura, macinazione o bruciatura. Sono molto sensibili alla luce che tende a sbiancarli. I più conosciuti sono: la lacca di cocciniglia (rosso, estratta da un insetto che cresce sulla pianta Quercus coccifera), la lacca di chermes (rosso, estratta da un animale che contiene acido chermesico), il nero d'avorio (ottenuto dalla calcinazione delle ossa e dell'avorio).
I colori minerali possono essere naturali o artificiali. I colori minerali naturali si trovano in natura pronti per la macinazione e si ricavano principalmente da terre, ocre e bitumi. Alcuni di essi sono: la terra di Siena (ottenuto per calcinazione della terra di Siena naturale e di colore rossastro), la terra ombra (con composizione simile alla terra di Siena e di colore bruno-verdastro), il bolo (terra argillosa rossa costituita da ossidi di ferro) e il bitume (di colore bruno-trasparente, composto dalla miscela di idrocarburi). I colori minerali artificiali sono sostanze che provengono dalla natura sotto forma di sali, ossidi e solfuri, derivanti da diversi metalli fra i quali il ferro, il piombo, il rame e il mercurio. Si ricavano con procedimenti chimici come calcinazioni, ossidazioni, precipitazioni, carbonatazioni e miscelazioni che li trasformano nei pigmenti diversi. I più comuni sono: la biacca (bianco, ricavato dal piombo esposto ai vapori dell'aceto), il litargirio (giallo, ottenuto riscaldando la biacca a 400°), il minio (rosso, ricavato riscaldando a 480° il litargirio e la biacca, molto utilizzato nella pittura su pergamena, da cui la definizione di “miniatura”), il blu egiziano (composto da silicati di rame e calcio, usato sin dai tempi degli antichi egizi nelle decorazioni parietali), il verderame (ottenuto esponendo il rame ai vapori dell'aceto).
I colori anticamente venivano preparati nelle botteghe artigiane con molta accuratezza: in genere venivano macinati finemente dentro un mortaio fino ad ottenere una polvere finissima che veniva conservata in vasetti di vetro. La polvere, così ottenuta, veniva impastata nelle giuste proporzioni con il legante prescelto. Ogni pigmento richiede una quantità specifica di un determinato legante. I colori minerali erano i più utilizzati anticamente in quanto offrono, rispetto a quelli animali e vegetali, caratteristiche di maggiore stabilità fisica e chimica. I colori animali e vegetali erano invece maggiormente utilizzati per la composizione delle lacche.
Oggi i colori si trovano in commercio direttamente nei tubetti o nei vasetti già pronti per l'uso: di conseguenza si è purtroppo perduta la tradizione legata alla macinazione delle polveri e al loro impasto col legante, anche se è aumentata la gamma di colori utilizzabili in pittura perché molti di essi, di origine sintetica, sono ottenuti con procedimenti scientifici in laboratori attrezzati.