Gli astucci porta-amuleti nella Sicilia punica

di Manuel Martinez
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Gli astucci porta-amuleti confermano il prestigio che il rituale egiziano ebbe nel mondo punico: posti sui defunti dovevano assicurare la conservazione del corpo, nonché il potere di rigenerazione, mentre sui vivi dovevano garantire una “protetta” quotidianità. Contenevano talismani di natura diversa, ma più diffusi erano i cosiddetti amuleti “grafici” in metallo o in materiale deperibile (papiro, stoffa), in cui erano riportate teorie di personaggi egittizzanti. Si tratta delle cosiddette processioni di decani, che ritroviamo in Egitto su diversi reperti e monumenti (avori o bastoni magici del Medio Regno, cippi o stele di Horo sui coccodrilli, braccialetti di Tanis, ipocefali), il cui ordine di comparsa sembra essere sempre lo stesso, forse in osservanza di un consolidato rituale magico. Talora, la presenza d’iscrizioni fenicie o puniche, principalmente formule che invocano la protezione divina in favore del dedicatario, conferisce loro maggiore importanza (per una visione d’assieme, si veda da ultimo M. Martinez, Gli astucci porta-amuleti punici (=Biblioteca di Byrsa, 6), Lugano 2010).
Tra il VII-VI a.C. si diffonde in tutto il Mediterraneo un astuccio essenziale nella forma, a corpo cilindrico, sormontato da un anello di sospensione. Il tipo conobbe diverse varianti: in Sicilia è documentata quella “a fondo emisferico e sommità piatta”, rappresentata da un esemplare in argento facente parte della collezione Whitaker” del museo moziese (A. Spanò Giammellaro, Collezione Whitaker –vetri. Collezione Whitaker -amuleti e scarabei. Collezione Whitaker –gioielli e oggetti d’ornamento, in M.P. Toti (ed.), Mozia. Dalle origini alla riscoperta dell’antica città, Palermo 2004, pp. 9-14; 19-32; 41-44; 67-70; 85-88).
Gli esemplari maggiormente rappresentativi restano, tuttavia, quelli muniti di protome di animale divino (leonina, di ariete, di falco, di sciacallo), diffusi dal VI sec. a.C. in numerosi contesti funerari punici, dal Nord Africa (Cartagine, Utica) a Malta, fino alla Sardegna (Tharros, Olbia, Nora) e alla Penisola Iberica (Ibiza, Granada, La Aliseda, Cadice). Per quanto concerne la Sicilia, i rinvenimenti di astucci nelle necropoli sono sporadici. I resoconti di scavo hanno evidenziato la presenza di due esemplari leontocefali in argentoconservati nel Museo Archeologico Regionale «A. Salinas» di Palermo. Il primo, datato IV-III sec. a.C., fu rinvenuto a Lilibeo da A.M. Bisi, durante gli scavi del 1969-70 nella necropoli punica in zona Giattino (tomba 11); il secondo esemplare proviene, invece, dalla necropoli di Birgi e reca al suo interno una lamina ancora saldata al cilindro cavo (A. Spanò Giammellaro, L’orizzonte fenicio e punico. I gioielli, in L. Gandolfo (ed.), Pulcherrima Res. Preziosi ornamenti del passato, Palermo 2008, pp. 105-141).
L’astuccio leontocefalo, in uso fino al III sec. a.C., presenta la protome sormontata da disco solare e da serpente ureo. Le notazioni zoomorfe sono ben definite: occhi incavati, muso pronunciato, criniera resa mediante tratti obliqui disposti a raggiera. Le divinità leontocefale, numerose nel pantheon egizio ricoprono un ruolo essenziale dal punto di vista escatologico, in quanto sono da sempre associate al culto solare. È plausibile ritenere che Sekhmet e Bastet abbiano costituito i modelli iconografici più immediati, data la fortuna che il loro culto ricevette in Egitto e nel resto del Mediterraneo. Inoltre, il senso di rinascita associato alle due divinità, pregno di una valenza sia funeraria sia protettiva contro le malattie, ben si connette con il ruolo degli astucci porta-amuleti e con la natura profilattica dei messaggi in essi contenuti.
La presenza di tali manufatti - confezionati in officine cartaginesi - nelle necropoli puniche è da attribuire ai membri delle aristocrazie cartaginesi sparse fra VI e V secolo a.C. per il Mediterraneo. Per utilizzare le parole di E. Acquaro, gli astucci sono “testimoni, al pari dei rasoi e dei gusci di uova di struzzo, di una rivisitazione coerente e funzionale che reinterpreta in chiave più decisamente “africana” i lasciti di una cultura asiatica, riqualificando in ambito occidentale quei confronti che la Fenicia aveva già avuto da tempo direttamente con l’Egitto faraonico”.
La scarsa presenza di astucci nelle località siciliane investite dalla cultura punica, la loro totale assenza in contesti funerari più antichi del IV-III a.C. e l’utilizzo dell’argento per la fabbricazione dei contenitori, lascia supporre che l’uso di tali manufatti e, quindi, delle credenze di cui erano portatori, sia giunto relativamente tardi sull’Isola. Tuttavia, la lettura della lamina contenuta in uno dei due esemplari, una volta srotolata e restaurata, potrebbe apportare un valido contributo per una comprensione più oculata del problema.

(ed. 2012)